IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha emesso la seguente ordinanza  nel  procedimento  relativo  alla
 concessione  di  aff.  in  prova,  quarto  comma  all'udienza  del 23
 febbraio 1993 premesso che il detenuto Rossi Carpino Giancarlo,  nato
 il 26 giugno 1955 a Torino elettivamente domiciliato c/o avv. Durante
 di  Torino  in  espiazione  pene  anni quattro mesi sei di reclusione
 inflittegli con provv. cum. n. 824/92/res  proc.  gen.  rep.to  -  18
 febbraio 1993 difeso dall'avv. di fiducia Durante del Foro di Torino;
    Visto il parere rinviarsi del p.g.;
    Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato;
    Verificata,  preliminarmente,  la  regolarita' delle comunicazioni
 relative  ai  prescritti   avvisi   al   rappresentante   del   p.m.,
 all'interessato ed al difensore;
    Considerate  le  risultanze  delle documentazioni acquisite, delle
 investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della
 discussione di cui a separato processo verbale;
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Rossi  Carpino  Giancarlo  veniva  condannato  ad  anni   tre   di
 reclusione  dal  tribunale di Torino con sentenza del 15 gennaio 1991
 per i reati di cui agli artt. 81 c.p.v. e 521 del C.P.  e  condannato
 ad  anni  tre e mesi sei dalla corte d'appello di Torino con sentenza
 del 4 dicembre 1991 per fatti della stessa indole.
    Con ordinanza della corte d'appello di Torino dell'8 febbraio 1993
 i reati di cui alle sentenze precitate venivano unificati dal vincolo
 della continuazione e la pena complessiva  veniva  ridimensionata  in
 anni quattro e mesi sei di reclusione.
    Con  la  stessa ordinanza veniva applicato il condono ex d.P.R. n.
 394/1990 nella misura di anni due.
    Il   Rossi   Carpino   Giancarlo   presentava  quindi  istanza  di
 affidamento in prova al servizio sociale  e  contestuale  istanza  di
 sospensione dell'ordine di esecuzione per la residua pena di anni due
 e mesi sei di reclusione.
    Il presidente del tribunale di sorveglianza di Torino, valutata la
 ammissibilita'   dell'istanza  e  compiuta  l'attivita'  istruttoria,
 fissava per l'odierna udienza la discussione in camera di consiglio.
    All'odierna udienza, assente il condannato, il p.g.  e  la  difesa
 concludevano come da separato verbale.
                             D I R I T T O
    Il  caso  che  oggi  viene  all'esame  del  tribunale e' veramente
 sintomatico del quadro di inadeguatezza delle norme  che  attualmente
 regolamentano   l'istituto  dell'affidamento  in  prova  al  servizio
 sociale  nella  configurazione  prevista  al  comma  terzo  e  quarto
 dell'art. 47, o.p.
    Il  profilo  di  incostituzionalita' dell'art. 47 dell'ordinamento
 penitenziario che  il  tribunale  ritiene  rilevante  ai  fini  della
 decisione  e  che  appare  non  manifestamente  infondato  e'  quello
 relativo alla violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte  del
 legislatore  che  con  l'art.  47  ord.  pen.,  cosi' come modificato
 dall'art. 11 della legge n. 633 del 10 ottobre 1986 ha introdotto  la
 possibilita'  di accedere al beneficio anche per colui che ha serbato
 in  liberta'  un  comportamento  tale  da  consentire   un   giudizio
 prognostico  favorevole sul suo reinserimento ma ha omesso di dettare
 una  disciplina  organica   e   dettagliata   dell'osservazione   sul
 comportamento tenuto in liberta' dal condannato.
    E'  opportuno  qui richiamare, al fine di chiarire le peculiarita'
 dell'istituto nella configurazione che  emerge  dal  terzo  e  quarto
 comma dell'art. 47 ord. pen., alcuni passi della sentenza della Corte
 costituzionale  n.  569  del  dicembre  1989  che  costituiscono  una
 preziosa traccia per ripercorrere la storia dell'affidamento in prova
 e per individuarne i caratteri salienti.
    Dice   la   Corte:   "Guardando,   infatti,   alla    delineazione
 dell'istituto  cosi'  come  emergeva  originariamente  dalla legge 26
 luglio 1975, n. 354, sembra evidente che  il  legislatore  del  tempo
 avesse inteso favorire ed accelerare il reinserimento sociale di chi,
 condannato  a  pena  detentiva di un certo rilievo (fino a due anni e
 sei mesi o tre anni per  gli  infraventunenni  od  ultrasessantenni),
 avesse dimostrato durante l'osservazione della personalita', condotta
 da  un collegio di esperti dell'istituto penitenziario per almeno tre
 mesi,  di  essere  disponibile   a   collaborare   con   i   preposti
 all'attuazione  della  finalita' rieducativa della pena. In tal caso,
 il condannato veniva ammesso ad espiare la residua pena  in  relativa
 liberta'  e  sotto  il  controllo del servizio sociale, ma sottoposto
 alle prescrizioni di cui agli artt. 5, 6 e 7 della legge,  certamente
 limitative  della  sua  facolta'  di  determinare  la sua condotta in
 assoluta liberta'. Se la disponibilita' del condannato  all'attivita'
 rieducativa del servizio sociale continuava per tutta la durata della
 residua  pena,  questa  si  estingueva  assieme ad ogni altro effetto
 penale.
    Entro tali contorni  la  fisionomia  dell'istituto  risultava  ben
 chiara:  non  si trattava di provvedimento premiale o di clemenza, ma
 di un esperimento penitenziario, condotto sotto  altre  modalita'  di
 espiazione,  per agevolare ed affrettare il reinserimento sociale del
 condannato, consentendogli di espiare la residua pena  in  condizioni
 di relativa liberta', e in affidamento al servizio sociale, favorendo
 la  disponibilita' alla collaborazione rieducativa, di cui aveva dato
 prova durante l'osservazione degli esperti, nel corso dell'espiazione
 carceraria.
    Si trattava, dunque, di un istituto riservato ai condannati che si
 trovassero in espiazione carceraria della  pena  e  che,  come  tali,
 potessero  essere  sottoposti  in istituto alla speciale osservazione
 collegiale.
    Ma nel corso dei tempi l'istituto  ha  subito  cosi'  numerose  ed
 importanti modificazioni, da doversi riconoscere l'attenuarsi di quei
 caratteri  originari  con  la  conseguente sostanziale trasformazione
 della sua stessa natura".
    Le principali modifiche sono state costituite  dalla  soppressione
 di  alcune preclusioni in relazione a condanne per determinati reati,
 dalla diminuzione del periodo di osservazione da un mese a tre mesi e
 dall'introduzione dell'art. 47-  bis  che  ha  previsto  una  ipotesi
 speciale  legata al reinserimento dei tossicodipendenti "ma .. fu poi
 l'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 633, che riformando ex novo
 l'intero testo dell'art. 47, fini' di compiere l'opera di progressiva
 demolizione attribuendo alla linea generale dell'istituto una  natura
 ibrida  e  contraddittoria.  A  parte  i  limiti massimi che venivano
 unificati per tutti in anni tre, l'aspetto  saliente  e  decisivo  di
 quest'ultima   riforma   e'  l'intima  contraddizione  nel  carattere
 dell'istituto che veniva ad instaurarsi fra il primo e secondo  comma
 del  nuovo  art.  47,  da  una  parte,  e  il  terzo  e  quarto comma
 dall'altra. I primi due commi,  infatti,  lasciavano  sostanzialmente
 integro  l'istituto  originario,  riservato ai detenuti in espiazione
 carceraria della pena, sia pure con la gia'  vista  riduzione  ad  un
 mese  dell'osservazione  collegiale  della  personalita'.  Ma  i  due
 successivi commi introducevano una nuova specie di  affidamento,  che
 prescinde   del   tutto   dall'osservazione  collegiale  in  istituto
 spostandola invece sul comportamento che il condannato ha tenuto  nel
 periodo di liberta' ..".
    Si  tratta  quindi  di una deroga che fa dell'affidamento previsto
 nei commi terzo e quarto una specie diversa, in quanto esonera  dalla
 previa  situazione  di  espiazione carceraria colui che, in liberta',
 abbia  tenuto  un  comportamento  tale  da  consentire  un   giudizio
 prognostico favorevole in termini rieducativi.
    La  Corte  specifica  testualmente:  "la  realta'  e' che, come si
 verifica sostanzialmente nell'affidamento del tossicodipendente, cio,
 che conta veramente  e'  il  giudizio  sul  comportamento  tenuto  in
 liberta'".
    La  legittimita'  dell'istituto  non viene qui contestata, d'altra
 parte la Corte gia' si e' pronunciata sul punto dichiarando: "  ..non
 sussiste  la lamentata lesione del principio d'eguaglianza, in quanto
 la   previsione   di   diversi   presupposti   per   la   concessione
 dell'affidamento  in  prova  (valutazione del comportamento tenuto in
 liberta', da un lato, osservazione in istituto,  dall'altro)  assolve
 all'esigenza   di  disciplinare  in  modo  differenziato  le  diverse
 situazioni (stato di liberta' o stato  di  detenzione)  in  cui  puo'
 versare il condannato al momento della presentazione della domanda di
 affidamento  in prova; .. non e' irrazionale che il comportamento del
 condannato ancora in stato di liberta' sia valutato  sulla  base  dei
 comportamenti tenuti in liberta'," (Corte costituzionale ordinanza n.
 482 del 1990).
    Cio'   che  in  questa  sede  si  rileva  come  costituzionalmente
 illegittima e' la totale assenza di  disciplina  nel  commisurare  la
 valutazione  circa  la  concedibilita' del beneficio al comportamento
 tenuto in liberta'.
    Il "nuovo" e diverso istituto dell'affidamento in prova  capovolge
 completamente  la  struttura  della misura alternativa prevista dalla
 legge n. 354 del 1975.
    Come si e' dianzi evidenziato il fulcro  dell'istituto  nella  sua
 configurazione    originaria   e'   rappresentato   dal   trattamento
 penitenziario e dall'osservazione svolta in istituto mentre nel  caso
 dell'affidamento   in  prova  introdotto  ai  commi  terzo  e  quarto
 dell'art. 47 con la legge n. 633 del 1986 l'elemento centrale, sia ai
 fini dell'osservazione sia ai fini del  trattamento  rieducativo,  e'
 costituito "dal comportamento tenuto in liberta'".
    Questa  differenza  di  presupposti  di  fatto  di riflette in una
 fondamentale differenza di  disciplina.  Invero  la  legge  del  1975
 accanto  alla  previsione  normativa dell'istituto disciplina in modo
 organico il trattamento  penitenziario  nonche'  l'osservazione  agli
 artt. 13 e 15 e agli artt. 26, 28 e 29 del regolamento.
    In  dette  norme  sono indicati: a) gli elementi trattamentali; b)
 gli strumenti dell'analisi del detenuto; c)  i  soggetti  qualificati
 per  esaminare tutto il materiale dell'attivita' trattamentale; d) il
 tribunale di sorveglianza che decide su questa documentazione.
    Per l'affidamento in  prova  previsto  al  terzo  e  quarto  comma
 l'unico  riferimento  normativo  e'  rappresentato  dalle espressioni
 "l'affidamento  in  prova  puo'  essere  disposto   senza   procedere
 all'osservazione  in istituto quando il condannato .. ha goduto di un
 periodo di liberta' serbando un comportamento tale da  consentire  il
 giudizio di cui al precedente comma".
    E'   vero   che   lo   stato   di   liberta',  essendo  situazione
 oggettivamente diversa, legittima un  diverso  trattamento,  tuttavia
 non  legittima una totale assenza di disciplina dell'osservazione del
 comportamento del condannato libero.
    Nelle due configurazioni dell'istituto diverse sono le  situazioni
 di  base,  identiche  sono  le  finalita',  uguali  sono  i canoni di
 giudizio, i parametri di valutazione: in entrambi i casi  il  giudice
 deve formulare un giudizio prognostico riguardo alla rieducabilita' e
 al  rischio  di  recidiva, ma, nell'ipotesi del terzo e quarto comma,
 non e' disciplinata  in  alcun  modo  l'analisi,  l'osservazione  del
 comportamento tenuto in liberta'.
    Per   l'art.  47,  primo  e  secondo  comma,  vi  e'  una  precisa
 disciplina,  il  giudice  decide  in  merito  all'istanza  dopo  aver
 acquisito  e  valutato i dati di una penetrante indagine svolta da un
 collegio  di  esperti  che  per  almeno  un  mese  ha  osservato   la
 personalita' del detenuto che ha indagato sul contesto sociofamiliare
 di provenienza e di futuro inserimento.
    Nella disciplina introdotta con la legge n. 354 l'istituto assolve
 ad  una  funzione eminentemente rieducatica della pena (art. 27 della
 Costituzione), attraverso idonei strumenti quali: a)  il  trattamento
 penitenziario  del  detenuto  affidato  ad  un  gruppo di osservatori
 professionalmente   preparati   (educatori,   psicologi,   assistenti
 sociali, direttore dell'istituto); b) il giudizio formulato sul conto
 del  detenuto dal predetto gruppo di osservazione; c) il giudizio del
 tribunale   fondato  su  elementi  significativi  che  riguardano  la
 personalita' del detenuto e le risposte che costui ha dato nel  corso
 dell'espiazione della pena alle offerte trattamentali.
    Al contrario per l'affidamento in prova previsto al terzo e quarto
 comma   la  decisione  in  merito  all'istanza  ha  come  presupposto
 "l'osservazione  imprescindibile  della  personalita'  del   soggetto
 mentre e' libero".
    L'oggetto  del giudizio che deve essere formulato dal tribunale di
 sorveglianza si sposta su elementi acquisiti del tutto  al  di  fuori
 del circuito penitenziario.
    Il giudizio sul comportamento tenuto in liberta' dal condannato e'
 il presupposto logico per accedere alla seconda fase del giudizio: la
 formulazione  di  una  prognosi favorevole al reinserimento sociale e
 alla mancata reiterazione di comportamenti criminosi.
    Proprio sulla prima fase del giudizio si  fonda  la  sperequazione
 tra i due casi di affidamento in prova.
    E'  evidente che la situazione di liberta' determina la necessita'
 di  apprestare  mezzi  diversi  per  procedere  all'osservazione  del
 comportamento  del  condannato  ma  ad  un  attento  esame del quadro
 normativo non emergono norme che disciplinino detta  osservazione  ed
 in  particolare il tempo, le modalita', gli strumenti, i soggetti che
 devono  effettuare  l'osservazione  del   comportamento   tenuto   in
 liberta'.
    Il legislatore non ha stabilito:
      quale  e'  il  periodo  di  tempo  da  prendere  in  esame  e da
 sottoporre ad osservazione (questo problema si riscontra  soprattutto
 nel caso in cui non vi sia stato un periodo di custodia cautelare);
      quali  sono  le  modalita'  di  tale osservazione: se ci si deve
 limitare a sottolineare  l'assenza  di  rilievi  negativi,  se  vanno
 cercati  indici  positivi di reinserimento sociale o se devono essere
 richiesti atteggiamenti attivi  volti  per  esempio  a  risarcire  il
 danno;
      quali  sono  gli  strumenti  a  disposizione per l'indagine, dal
 momento che risulta particolarmente problematico controllare su tutto
 il territorio nazionale il comportamento del soggetto condannato;
      quali sono i soggetti preposti all'osservazione? solitamente  si
 tratta  di  agenti di p.s. della zona di residenza dell'interessato e
 talvolta assistenti sociali del C.S.S.A.
    Tali lacune del sistema normativo nel prevedere  l'affidamento  in
 prova  direttamente  dalla liberta' appaiono particolarmente evidenti
 in casi come quello che oggi e' all'esame del tribunale.
    Nei casi in cui il tipo di reato richiede  una  piu'  approfondita
 indagine  psicologica  ed  un  piu'  approfondito  accertamento circa
 l'abbandono   di   scelte   devianti,   l'istituto   dell'affidamento
 direttamente dalla liberta' manifesta le maggiori lacune.
    In tali casi i maggiori approfondimenti istruttori si hanno con la
 lettura  della  sentenza  che peraltro attesta una situazione storica
 passata mentre non affronta,  chiaramente,  un  problema  prognostico
 relativo alla personalita' del soggetto.
    Le carenze istruttorie si evidenziano nel momento in cui si tratta
 di valutare l'evoluzione della personalita' del soggetto in relazione
 alla condotta serbata in liberta'.
    Non  vi  e' dubbio che l'eventuale periodo di liberta' costituisca
 un valido "banco di prova" per il condannato che intenda  reinserirsi
 fattivamente nel tessuto sociale.
    Peraltro difficilmente l'indagine del tribunale riesce a spingersi
 oltre   al   semplice   dato  di  fatto  costituito  dall'assenza  di
 reiterazione di condotte criminose.
    Il tribunale si chiede se di fronte a reati cosi'  gravi  come  la
 violenza carnale sui minori il giudizio possa fondarsi sulle semplice
 assenza  di rilievi negativi o se debbano invece emergere documentati
 indici positivi di reinserimento e di abbandono di scelte devianti.
    Non si possono non evidenziare, quindi,  i  limiti  e  le  carenze
 dell'osservazione sul comportamento in liberta' dal condannato.
    In  particolare  con riferimento alle informazioni acquisite dagli
 organi  di  polizia  risulta  assai  difficile  delineare  un  quadro
 sufficientemente  certo  sullo  stile  di  vita condotto dal soggetto
 successivamente  alla  commissione  del  reato  ed   alla   eventuale
 scarcerazione  dalla  custodia cautelare. Nell'esperienza si e' avuto
 modo di  rilevare  l'insufficienza  delle  informazioni  fornite  dai
 predetti  organi  di  polizia,  informazioni che spesso si riducono a
 mere formule di stile all'incirca di questo tenore:  "Dagli  atti  di
 questo  ufficio  risulta  che il soggetto successivamente al commesso
 reato abbia serbato regolare condotta  non  incorrendo  ulteriormente
 nei rigori della legge".
    D'altra  parte non si puo' fondamentalmente muovere alcun addebito
 agli organi di polizia chiamati a riferire elementi significativi sul
 conto di persone che dopo la scarcerazione conducono una esistenza al
 di fuori di qualsiasi controllo.
    Del pari l'indagine socio familiare, pur  offrendo  un  quadro  di
 massima sul contesto familiare e ambientale, non consente, da un lato
 di approfondire un profilo psicologico del soggetto dall'altro, per i
 limiti  connessi  alla figura e alla funzione dell'assistente sociale
 incaricato,  di  acquisire  elementi  significativi   in   punto   di
 pericolosita' sociale e rischio di recidiva.
    Alla  luce  della  scarsa  significativita'  degli  elementi cosi'
 acquisiti al termine dell'istruttoria e' difficile se non addirittura
 impossibile formulare un giudizio prognostico.
    E' opportuno evidenziare a questo proposito il diverso  ruolo  che
 svolge  il  tribunale  di sorveglianza nei due casi di affidamento in
 prova e il diverso  fondamento  che  puo,  avere  il  giudizio  sulla
 meritevolezza del beneficio. Invero il tribunale chiamato a giudicare
 su  elementi  spesso  scarsamente  significativi  e  su  informazioni
 talvolta superficiali  risulta  del  tutto  delegittimato  nella  sua
 delicata  funzione.  Se  si  pone a confronto la disciplina precisa e
 rigorosa, fondata su basi scientifiche che prelude  alla  concessione
 dell'affidamento  in prova secondo la normativa stabilita dalla legge
 del 1975 con la disciplina prevista per l'ipotesi di cui al  terzo  e
 quarto  comma non si puo' non evidenzire la profonda differenza nella
 posizione  che  viene  ad  assumere  il  tribunale  di  fronte   alla
 decisione.
    Orbene  l'avere  previsto che un organo giudicante composto da due
 magistrati ordinari e da due esperti  in  psicologia  e  criminologia
 debbano  formulare  un  giudizio  su  di  una  persona condannata per
 violenza carnale ad anni quattro e mesi sei di reclusione, sulla base
 di una certificazione di buona condotta rilasciata da  un  assistente
 sociale  o  da un agente di P.S. significa delegittimare il tribunale
 di sorveglianza nelle sue funzioni di organo giudicante.
    Il tribunale non  ha  modo  di  conoscere  il  condannato  se  non
 attraverso  la  scarna  documentazione  precedentemente  descritta, e
 spesso, come nel caso in esame, il  condannato  non  si  presenta  in
 udienza  rendendo  impossibile  in  tal  modo  anche  una valutazione
 diretta da parte degli esperti e del tribunale nel suo complesso.
    Il  legislatore  con  la  riforma  dell'anno  1975   ha   ritenuto
 necessario  ed  opportuno che una parte delle pene detentive messe in
 esecuzione fossero espiate in carcere, ed una parte in liberta' ed ha
 cosi'  istituito  le  misure   alternative   della   semiliberta'   e
 dell'affidamento   in  prova  al  servizio  sociale.  Il  compito  di
 stabilire se il soggetto sia meritevole o meno di detti  benefici  e'
 affidato ad un organo collegiale di cui fanno parte, a ragion veduta,
 un psicologo ed un criminologo.
    Il  tribunale  cosi'  composto  esercita le sue funzioni di organo
 giudicante in modo appropriato e consono alla sua  natura  in  quanto
 analizza una serie di elementi:
       a) una relazione psicologica del condannato;
       b)  una  relazione  comportamentale  con riferimento al periodo
 prima, durante e dopo il delitto;
       c) le sue  risposte  alle  attivita'  trattamentali  realizzate
 durante la detenzione;
       d) la condotta durante la fruizione di permessi premiali;
       e) la relazione socio-familiare.
    I  quattro  giudici possono pertanto esprimere al massimo grado la
 loro professionalita' nella disamina, nel confronto  nell'analisi  di
 questo significativo materiale probatorio.
    Per  contro  questo quadro normativo si e' notevolmente modificato
 con l'introduzione dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale
 senza osservazione in istituto.
    Invero  il  tribunale,  di fronte a casi di notevole gravita' e di
 rilevante allarme sociale, si trova del tutto sprovvisto di  elementi
 per  valutare da un lato il percorso risocializzante gia' compiuto in
 liberta' dal condannato e dall'altro lato per formulare una  prognosi
 di non recidivita'.
    Le lacune sopra evidenziate paiono ancora piu' evidenti sol che si
 ponga  a  confronto  l'istituto  previsto  al  terzo  e  quarto comma
 dell'art. 47 ord. pen. con altri casi in cui  il  legislatore  si  e'
 posto  il problema di valutare il comportamento tenuto in liberta' da
 parte di una persona condannata,  casi  in  cui  sono  state  dettate
 regole ben precise.
    Si   consideri   per   esempio  la  dettagliata  disciplina  della
 riabilitazione la dove il legislatore all'art. 179 del c.p.,  la  cui
 rubrica  recita  "condizioni  per  la riabilitazione", ha dettato una
 disciplina precisa sul termine, sulla sua decorrenza,  sul  requisito
 della  bunona  condotta,  sulla  presenza  di elementi positivi quali
 l'adempimento  delle  obbligazioni  civili   derivanti   dal   reato,
 sull'assenza  di  elementi  negativi quali l'attuale sottoposizione a
 misure di sicurezza.
    E'  altresi'  da  sottolineare  il  fatto  che  l'istituto   della
 riabilitazione  presuppone  che la pena sia gia' stata scontata e che
 il soggetto abbia gia' saldato il  suo  debito  nei  confronti  dello
 Stato  e  della  collettivita'. A maggior ragione ci si chiede se non
 dovrebbe  essere disciplinata l'osservazione del comportamento tenuto
 in liberta' nel caso in cui si tratti di  dover  ancora  espiare  una
 pena  spesso  relativa a reati di notevole grvita' come nel caso oggi
 all'esame del tribunale.
    Si consideri, ancora, l'ipotesi di affidamento  in  prova  di  cui
 all'art.  47-bis  o.p.  In  virtu'  di  tale  disposizione i soggetti
 tossicodipendenti  o  alcooldipendenti  che  abbiano  in   corso   un
 programma  di  recupero  presso le strutture sanitarie o le comunita'
 terapeutiche possono ottenere l'affidamento in prova senza tornare in
 carcere.
    Con questa opportunita'  si  da'  rilievo  e  significato  ad  una
 attivita' trattamentale compiuta al di fuori del carcere per soggetti
 liberi   da   personale   professionalmente  qualificato,  dotato  di
 strutture  idonee  e  che  si  avvale  di  metodo   scientifico.   Il
 presupposto  fondamentale  di tale istituto e' pertanto costituito da
 una documentata e valida opera trattamentale  compiuta  da  strutture
 pubbliche (u.s.s.l.) ovvero da comunita' terapeutiche.
    In  queste  ipotesi gli elementi su cui il tribunale e' chiamato a
 pronunciarsi  assumono  un  contenuto  decisamente  piu'   pregnante.
 Diversamente  nell'ipotesi  dell'affidamento in prova disciplinato al
 terzo e quarto comma dell'art. 47 non e'  prevista  alcuna  forma  di
 trattamento  al  di  fuori  del  carcere nei confronti del condannato
 libero.
    Per queste ragioni di rileva una disparita' di trattamento tra chi
 richieda il beneficio essendo in carcere e chi richiede il  beneficio
 essendo in liberta'.
    Questi dati indicano con chiarezza l'esigenza di un intervento del
 legislatore  per controllare un tale fenomeno che ha un grande influ-
 enza sull'intero sistema sanzionatorio e sulla  funzione  stessa  del
 sistema penale.
    D'altra  parte  la  stessa  Corte costituzionale nella gia' citata
 sentenza n.  569  del  1989  ha  concluso  dicendo:  "vedra'  poi  il
 legislatore  se  non  sia  opportuno  a  questo punto dare all'intera
 normativa un coordinamento piu' sistematico".